mercoledì 30 gennaio 2013

CAPITOLO 4

Ed eccoci al giro di boa,
tenete duro che possiamo farcela ad arrivare al week end.
Oggi poi fa particolarmente freddo e sarei rimasta volentieri sotto le coperte.
Intanto vi lascio da leggere il 4° capitolo.
Buona giornata a tutti!!


CAPITOLO 4


Un rumore assordante nel cuore della notte la fece svegliare di soprassalto.
Spaesata, a tentoni inforcò gli occhiali. La sveglia diceva che erano le tre.
Cercò di capire cosa stesse succedendo guardando tra le fessure della tapparella. Era un clacson impazzito. Un rumore continuo le spaccava i timpani  ancora addormentati.
Due uomini erano scesi in strada  e si guardavano attorno.
Si chiese come avessero fatto a vestirsi così in fretta ed avere la prontezza di uscire di casa nel cuore della notte.
Uno dei due cominciò a farle segno di scendere giù,  l’avevano scoperta a spiare dietro le tende. Ovviamente lei si guardò bene dal farlo. Come era cominciato così il fracasso finì e nessuno capì davvero cosa fosse successo.
Il mattino successivo era di cattivo umore per aver passato il resto della nottata in bianco; il tempo non aiutava.
Decise di fare qualcosa di costruttivo ed uscire, l’attesa di quella telefonata la stava facendo impazzire.
Si vestì senza troppa attenzione e si portò dietro la macchina fotografica. Avrebbe fatto la turista nella sua città.
Scese a piedi essendo troppo in ansia per aspettare l’ascensore.
Passando sul pianerottolo del primo piano sbucò dal nulla Giulio. Ogni volta che faceva le scale lui la intercettava e la teneva bloccata per una decina di minuti cioè fino a che non riusciva ad inventare qualche scusa e riusciva così a disincastrarsi.
Mise in bella mostra la busta dell’immondizia che aveva in mano credendo così di scoraggiarlo. Ma invano. Per l’ennesima volta le chiese di uscire.
Avendo esaurito tutte le scuse e non avendone preparate di nuove gli disse di sì.
Nello stesso istante in cui aveva pronunciato quel monosillabo si era già pentita, ben sapendo che stava per andare in contro alla serata più devastante della sua vita.
Non riusciva a sopportare la sua presenza per dieci minuti di vacui scambi di battute su un pianerottolo figurarsi cosa sarebbe stato una serata con lui.
D’ora in avanti non sarebbe mai più uscita di casa senza una buona scorta di scuse da spiattellare con non- chalance.
Non si poteva dire che fosse brutto. Ma era davvero strano.
Ogni volta che la incontrava le faceva delle domande assurde. Si fece coraggio oramai non poteva tirarsi indietro inoltre la libertà per quel mattino era lì a due passi. O meglio ad una rampa di scale.
Uscì dal portone respirando l’aria con il naso e la bocca, cercando di non pensare a quello che sarebbe successo quella sera.
Aveva deciso che al peggio si sarebbe fatta venire un’emicrania terribile e si sarebbe fatta riaccompagnare a casa.
Camminò per più di un’ora con la macchina pronta ad immortalare la città non era successo nulla.
L’unica foto che era riuscita a rubare fu quella di un donna anziana seduta su una panchina intenta a lanciare delle molliche di pane ai passeri. Allo stesso tempo cercava, invano, di scacciare i piccioni che venivano attirati in massa, non lo aveva mai capito, dall’odore del pane o dal rumore che esso faceva cadendo a terra. Una foto un po’ triste.
Intenta a cercare lo scatto aveva rimosso il clacson della notte precedente, l’incontro con Giulio, e persino il colloquio.
La riportò alla realtà lo squillo del telefonino.
Lo cercò disperata nella borsa e su quello che sembrava l’ultimo squillo lo afferrò rispondendo più velocemente possibile.
«Pronto?»
«Signora Giulia?»
“Signora Giulia? Chi sono mia nonna?” pensò.
«Si sono io!»
« Sono il dott. Passeri si ricorda di me?»
« Si certo ! » il ritardatario.
« Abbiamo valutato attentamente la sua candidatura e saremmo felici di offrirle un impiego presso la nostra sede»
« Sono contenta della vostra decisione»
« Se vuole può venire tra un paio d’ore a firmare il contratto»
Ringraziai  e riattaccai.
Cominciò a correre come una matta. Aveva trovato lavoro; si sentì sollevata e felice.
La giornata stava nettamente migliorando, pensò che tutto sommato sarebbe sopravvissuta anche alla serata con Giulio.
Aveva voglia di stare in mezzo alla gente e di festeggiare chiamò Stef che le disse che l’avrebbe raggiunta per la pausa pranzo. Si diedero appuntamento in un pub vicino al suo ufficio.

Appena la vide l’abbracciò, si sedettero al tavolo  indicato e cominciò a raccontarle tutto partendo dall’incontro che avrebbe avuto quella sera anche perché del resto c’era poco da dire.
Una volta aveva incontrato anche lei Giulio perciò iniziò a ridere.
Cercò di trascinare anche lei ma rifiutò categoricamente; si offrì però di  sostituirla  la prossima volta che avesse avuto un appuntamento dal dentista.

Pensò che era stata una giornata fortunata, mentre si preparava ad uscire; magari si sarebbe divertita.

Entrando nel locale prescelto si accorse che alle pareti erano appesi poster di luoghi esotici e lontani. Avrebbe tanto voluto essere lì in quel momento. La sua speranza che quella serata sarebbe passata in fretta l’abbandonava ogni minuto che passava con lui.
Oltre ad avere una serie infinita di difetti era anche un guidatore aggressivo; volendo usare un eufemismo. Aveva litigato con mezza città nel breve tratto che avevano percorso.
Ordinò una coca cola.
Mentre le esponeva le sue teorie sull’inutilità della letteratura, del cinema e della musica, decise che forse era meglio prendere qualcosa di più forte.
«Non ho mai ben inteso cosa volesse dire commentare un libro, cioè fai il riassunto?» le chiese spolverando il suo migliore italiano.
«Beh, no, si può commentare il soggetto, il modo di scrivere dell’autore, i personaggi, i luoghi, le descrizioni.. »  lasciò la frase in sospeso attendendo che lui desse un segno di aver in qualche modo capito ma il suo sguardo rimase vuoto, perciò decise di cambiare discorso.
« E il cinema ?  ti piace ? » chiese guardandolo speranzosa.
« Veramente non lo seguo molto, mi piace Stallone, Schwarzneger film così.. »
Cercò di rimare interessata ma le riuscì solo di immergere la faccia nel bicchiere
Proprio mentre le chiedeva come fosse il suo ragazzo ideale, si accorse che c’erano delle scale e cambiò abilmente discorso chiedendo cosa ci fosse di sotto.
« Il biliardo »
Fu la sua salvezza. Non aveva mai giocato ma non poteva essere peggio di quello strazio.
Propose di scendere e dare un’occhiata.


La stanza era molto più grande aveva tre tavoli da biliardo le freccette appese al muro e veniva diffusa una musica piacevole.
Giulio salutò un suo amico.
Un tipetto gracile, magrissimo e tinto. Aveva i capelli tinti di biondo dai quali però cercavano di riemergere le radici dei capelli neri.
«Ciao Franz !»
Si presentò alla bell’è meglio in inglese, lui le chiese se avesse mai giocato a biliardo.
Fece segno di no con la testa e venne invitata ad una partita di prova. Si distese sul tavolo con una certa grazia. Ben presto scoprì che si trovava di fronte ad un ballerino.
Era tedesco e parlava un discreto inglese al contrario di lei che invece cercava di sopravvivere.
Nonostante l’handicap linguistico la conversazione fu decisamente piacevole. La serata non fu un completo disastro. Le dispiaceva per Giulio che restò in disparte seduto su uno sgabello.
Non disse molto neanche in macchina, al ritorno.

Il mattino era fresco. Decise con attenzione cosa indossare; le sembrò di ritornare al primo giorno di scuola.
Ogni anno il rito si ripeteva. Sua madre la portava a fare shopping (anche se allora non conosceva quella parola, o per lo meno non la usava ) per acquistare qualcosa di carino, nuovo sfavillante da indossare il giorno dopo.
Per quella volta però dovette arrangiarsi con quello che aveva nell’armadio non avendo comprato nulla per l’occasione.
“Mi chiedo come mai si abbia una quantità indescrivibile di abiti da poter organizzare una sfilata ma non si sappia mai cosa indossare. Ci si riduce ad indossare sempre la stessa gonna, lo stesso maglione nonostante si tenti  di effettuare quello che i calciofili chiamerebbero il “turn over””.
Alla fine onde evitare di arrivare tardi indossò il suo completo preferito e soprattutto ben collaudato.
Arrivò in orario. Ovviamente.

Le diedero il badge con il quale avrebbe avuto accesso ad ogni piano dell’azienda.
Se avesse voluto sarebbe potuta salire fino al settimo, al secondo, o al decimo piano.
Non che avesse nulla da fare lì, visto che avrebbe lavorato al terzo piano.
Percorse un lungo corridoio. Diverse porte si affacciavano. Spinta dalla curiosità sbirciava all’interno degli uffici. Non che conoscesse qualcuno ma aveva voglia di vedere con chi avrebbe lavorato. Dopo un po’ quelle facce assolutamente anonime le sarebbero diventate familiari.
Come quando si sale su un autobus e non si conosce nessuno. Se però si fa quel percorso per diverso tempo, sempre lo stesso, si comincia a riconoscere qualche volto. Non si associa al volto un nome ma ci si sente legati a quella persona che ogni giorno fa  la tua stessa strada sopporta l’autista di turno (che di solito guida come un pazzo), la confusione e l’orrore di dover attendere alla fermata senza sapere quando e se la corsa che stai aspettando arriverà, congelandoti se è inverno e sciogliendoti come un cono gelato all’arrivo della bella stagione.
Ritornò in sé quando una voce le chiese se avesse perso qualcosa.
«No» rispose con garbo «oggi è il mio primo giorno e sto cercando la signora Scoglia»
« Oh, bene, il suo ufficio e due porte indietro, quello con la targa “sala riunioni” è arrivata da poco e si sta ancora sistemando».
Ringraziò e si diresse verso la porta. Bussò con delicatezza.
La signora doveva avere una quarantina d’anni o forse un po’ di più ma portati molto bene. Doveva fare palestra e sicuramente spesso approfittava dell’invenzione della lampada abbronzante. Il suo viso era nero come dopo due settimane al mare. Forse c’era stata davvero. Era molto elegante.  Quando entro le sorrise e si presentò.
Le spiegò quale fosse la sua mansione e ribadì che il contratto durava sei mesi ovvero il tempo che la signora che sostituiva tornasse dalla maternità.
Mentre era lì alzò la cornetta e comunicò a qualcuno che era arrivata.
Le spiegò che la persona che stava arrivando era la sua responsabile e che se avesse avuto dei problemi avrebbe potuto rivolgersi a lei.
Problemi ? Che tipo di problemi ?
La domanda nacque spontanea nella sua testolina ma non disse nulla.
Arrivò poco dopo una donna di età non precisata, alta, molto magra ed un grosso paio di occhiali, troppo grandi per il suo viso sottile. Era davvero pallida.
« Buongiorno sono la signora Pittima»
« Buongiorno».
La seguì senza fare conversazione, non sembrava che a lei dispiacesse. Aveva l’espressione di chi avesse a che fare con una seccatura.
Non avrebbe avuto un ufficio tutto suo, del resto lì nessuno lo aveva.
Entrarono in un open space come quelli che si vedono nei film americani.
Un ampio spazio luminoso che comprendeva una decina di scrivanie tre stampanti ed una macchina fotocopiatrice.
Le mostrò la sua scrivania e cosa avrebbe dovuto fare. Poi si allontanò.
Riuscì a sentire distintamente le sue parole: « Mi tocca fare la balia! »
Non sapeva se parlasse di lei ma la cosa le diede fastidio.
Accanto a lei era seduta una donna sulla quarantina che si presentò non appena il capo si allontanò.
Notò in quel preciso istante che tutte gli impiegati erano donne. Le tornò subito in mente la frase “ in caso di problemi”.
Dal nulla sentì improvvisamente sbraitare.
Si guardò attorno cercando di capire. Tese l’orecchio per identificare almeno qualche parola ma la persona - se così si poteva chiamare - che gridava parlava troppo velocemente e riuscì ad intendere nulla.
Timidamente chiese alla collega cosa stesse succedendo.
Donatella – così si chiamava - sorrise e le disse che presto si sarebbe abituata a vedere quel teatrino. Rimase stranita, non aveva mai sentito vomitare odio su qualcuno in maniera così serafica.
Ed erano solo le nove del mattino!
Che fosse un capro espiatorio? Un signor Malaussène in persona. Quel personaggio, partorito dalla mente di Pennac, che all’interno di un’azienda si prende la colpa di tutto rimanendo vittima di strigliate con i fiocchi. Esistevano davvero? Chi mai poteva ricoprire un ruolo tanto sgradevole.
Poco dopo una signora minuta a testa china entrò nella stanza. La Signora Malaussène in persona.
Una signora anziana entrò dietro di lei. La signora Pittima che passava di lì in quell’istante si prese la briga di presentarla, come se volesse distrarre l’attenzione da quanto successo.
«Signora Spugna le presento la dottoressa Serafina»
A sentirsi chiamare dottoressa ebbe un moto di orgoglio.
«Buongiorno»
Quel “buongiorno” anche se detto a voce bassa e con molta calma era molto simile alle “parole” urlate poco prima. Aveva riconosciuto il timbro ed il tono di voce. Era lei che aveva strillato contro quella povera donna facendola regredire agli albori della sua infanzia. Anche se, pensandoci bene, mai nessuno le aveva urlato in quel modo.
Salutò e si ritrasse coraggiosamente dietro la scrivania. Indietreggiò tenendo lo sguardo fisso sulle due donne che complottavano in silenzio.
Provò a chiedere nuovamente alla collega:
«Ma mi spieghi cosa succede? »
«Vedi…» le disse come una maestra che spiega l’alfabeto ad uno scolaro un po’ tonto
«questo accade almeno una volta al giorno, se va bene»
«Sempre con la stessa persona? » egoisticamente pensò a sé stessa.
«Di solito sì … »
I puntini di sospensione erano ben stampati nel tono di voce e non promettevano nulla di buono.
Indicavano che potevano cogliere chiunque ed in qualsiasi momento.

lunedì 28 gennaio 2013

CAPITOLO 3

Buongiorno a tutti e buon inizio di settimana!
Qui a Milano oggi nevica.. speriamo che smetta presto anche se è sempre bello vedere venir giù la neve.
Spero che il vostro week end sia andato come volevate.. io non posso lamentarmi!
Vi lascio con il terzo capitolo del mio romanzo, spero vi piaccia...
Buona giornata!!


CAPITOLO 3


Era già passata una settimana da che aveva consegnato il curriculum alla vicina.
Le veniva sempre in mente la frase “senza impegno” sussurrato tra la dentiera e la porta di casa che si chiudeva.
Non ci aveva mai creduto più di tanto, solo una piccola speranza forse.
Il campanello la fece tornare in sé:
«Buongiorno!»
La vicina. Già dall’espressione compassionevole aveva capito che non aveva buone notizie per lei.
Purtroppo la sua casa editrice non ricercava nessuno in quel momento.
La ringraziò per il tentativo fatto cercando di sorriderle.
Aveva già sentito quella frase.
Alcune case editrici le avevano risposto in seguito all’invio del curriculum e dicevano tutte più o meno la stessa cosa:

Gentile Signora,
siamo lieti che abbia scelto la nostra casa editrice , ma in questo momento non siamo alla ricerca di personale con le sue caratteristiche, saremo felici di mantenere il suo curriculum nella nostra banca dati…ecc.

In parole povere, non se ne faceva niente.
La tristezza ed un gran senso di impotenza cominciava ad impadronirsi di lei.
Quando anni addietro aveva scelto la facoltà era conscia delle difficoltà a trovare un lavoro che le piacesse ma non aveva in mente a che grado di disperazione sarebbe potuta arrivare. Non per l’effettiva mancanza di denaro o di cibo… era il non sentirsi realizzati sentirsi in qualche modo inutili che la stava deprimendo sempre più.
Quando oramai l’umore era sotto il letto il telefono squillò.

Si alzò di scatto e sedette sul bordo del letto. Fissò il telefono per un attimo o due ed infine rispose.
«La dottoressa Giulia Serafina ?»
Non sapeva mai come rispondere… in maniera spiritosa o professionale?
Risposi la prima cosa che le venne in mente:
« Sono io » Originale!
« Buongiorno, siamo la Ediwork abbiamo ricevuto il suo curriculum e la vorremmo incontrare, se per lei va bene ! »
Finalmente la telefonata che stava aspettando da quasi un mese, si affrettò a rispondere come se temesse che cambiassero idea.
«  Si, mi dica pure »
«  Se per lei va bene potremmo vederci domani alle 15.00».
Dopo qualche altra breve battuta si congedarono.
Dopo il colloquio lampo dell’ultima volta era un po’ prevenuta ma del resto aveva bisogno di lavorare e non poteva fare molto la schizzinosa.
Si sentii un po’ meglio, pensando che quella poteva essere la volta buona. Si infilò sotto la doccia pensando a cosa avrebbe dovuto indossare il giorno dopo.


Doveva ottenere quel posto!
Passò il resto della serata con la testa nell’armadio scartando uno dopo l’altro tutti i vestiti conversando telefonicamente con Stef.
Decisero insieme che un gessato le avrebbe conferito un’aria professionale ed una maglietta beige con dei ricami accennati sul bordo del colletto che avrebbe dato un tocco di eleganza.
Parlare con lei la rincuorò anche se passò la notte girandosi e rigirandosi nel letto.
Se non l’avessero presa? Cosa avrebbe fatto?
Cominciò a pensare che era più di un mese che non lavorava... e se non avesse mai più trovato un lavoro?  Forse stava esagerando! Chissà come mai le idee peggiori saltano fuori di notte.
Sarà forse per il buio, il silenzio o tutto l’insieme.
In ogni modo sognò una donna con i capelli lunghi ed arruffati con un tailleur che in un’altra vita doveva essere un gessato, mentre strascinava, sotto un ponte rimestando tra i rifiuti, un carrello della spesa ricolmo di robaccia.

Passò quindi gran parte della mattinata cercando di riparare i danni di una notte strana, pregna di sogni assurdi.
Si immerse in un cappuccino caldo mentre Woody Allen cercava di distrarla in attesa dell’ora ics.
L’ora in cui avrebbe indossato il vestito che già l’attendeva disteso per bene sul suo letto ancora sfatto.
Controllò per la terza volta che la maglietta fosse pulita, stirata.
Quel colore faceva a pugni con il gessato? La maglia era troppo scollata? Aveva un’espressione abbastanza intelligente? Era un po’ nervosa.

Quella mattina faceva davvero caldo. Sembrava che la primavera, svogliata , fosse rimasta a letto ed avesse ceduto il passo direttamente all’estate. Rimpianse d’aver indossato il vestito.
Salì sull’autobus. Chiese all’autista a quale fermata sarebbe dovuta scendere.
Fu molto gentile. Vedendola vestita in quella maniera le chiese se per caso non stesse andando ad un colloquio di lavoro. Scambiarono qualche parola e mentre scendeva le augurò “in bocca al lupo!”
Si sentì tranquillizzata da quello sconosciuto, era bello ogni tanto incontrare gente così gentile; era vieppiù piacevolmente sorpresa perché di solito gli autisti sbraitano le loro risposte, quando si degnano di dartele.
Infatti il nuovo conducente, alla sua richiesta di informazioni le rispose con una specie di grugnito dicendole più o meno che non sapeva. E se anche lo avesse saputo non aveva intenzione di dirglielo, pensò lei.
Arrivò con circa mezz’ora d’anticipo.
Era patologicamente incapace di arrivare all’ora giusta. Temendo di arrivare in ritardo, era sempre in anticipo ed anche questa volta non fu diverso.
In portineria la fecero accomodare su una poltroncina di ferro davvero scomoda!
Che fosse un test?
Sul tavolino la solita pila di riviste da parrucchiere.
Dopo circa un’ora, che passò guardandosi intorno cercando di non perdere la pazienza e la concentrazione necessarie, arrivò il dottor Passeri.
La persona che avrebbe deciso del suo futuro. Barbona o donna in carriera?
Fu additata dal portiere così l’uomo si avvicinò con un grande sorriso e la mano protesa in avanti.
«Buongiorno! Mi scusi per il ritardo!»
«Buongiorno! » rispose con il sorriso migliore che poté pensando che se fosse arrivata lei con qualche minuto di ritardo avrebbe, quasi certamente, potuto dire addio all’impiego.
Anche ad avere una buona scusa come essere stata investita da un autobus, non avrebbe avuto molta importanza. Cercò di non pensarci e lo seguì.

Lo guardò attentamente. Aveva un’età indefinita, forse non aveva superato la trentina.
Lo si poteva definire ancora un ragazzo. Però doveva essere in gamba se così giovane si trovava lì.
La fece accomodare nel suo ufficio.
Una stanza semplice ma graziosa.
La scrivania era imponente e occupava gran parte dello spazio.
Il colloquio durò circa quaranta minuti e le fece molte domande.
Alla fine si congedò con un “arrivederci” nel quale ripose tutte le sue speranze.

Tornò a casa affamata.
Decise di telefonare a Stef per invitarla a cena, non poteva sopportare di mangiare da sola quella sera.
La telefonata fu breve le chiese se poteva venire. Lei accettò facendole promettere che avrebbe ordinato una pizza, come se non si fidasse della sua cucina.

L’amica arrivò rapidamente era curiosa di sapere come fosse andata, così le raccontò dell’autista, dell’attesa e infine del colloquio.
Quasi in sincronia con l’uomo della pizza, terminato il racconto citofonarono.
 Infilò un paio di scarpe e corse giù dove, infondo alla scala un ragazzo sudamericano l’attendeva con la pizza fumante.
Che odorino! Pagò e corse su facendo attenzione a non far cadere i cartoni per terra.
L’amica intanto stava armeggiando con il lettore dvd.
«Tu saresti capace di farmi vedere Woody  Allen! »
Aveva giocato d’anticipo.
« Non ho solo i suoi film ! » le rispose piccata, sorvolando sul fatto che in quei giorni  non aveva fatto altro che vederli e rivederli.