venerdì 25 gennaio 2013

CAPITOLO 2

Buon venerdì a tutti!!
Eh si cari miei ancora poche ore e può iniziare il meritato riposo; sempre che non siate nella fascia di coloro che lavorano anche il sabato o la domenica!!
A Milano splende il sole ed è una giornata magnifica quasi uno spreco stare rinchiusi, speriamo che si mantenga così!
Intanto vi propino il secondo capitolo di DONNA IN CARRIERA.
Ciao a tutti!!



CAPITOLO 2


La crisi esistenziale era passata rapidamente anche grazie alle bollicine dello spumante ingollato avidamente durante la festa.
Era rimasto un grande mal di testa e lo stomaco sottosopra, come il giorno prima, ma per motivi completamente diversi.
Sebbene per mezza giornata l’annosa domanda era stata riposta in un angolo buio della mente e affogata da diversi bicchieri di spumante, ora appena sveglia era riaffiorata prepotente facendosi largo tra le immagini della giornata precedente.
Decise che era il momento di agire e per prima cosa aveva bisogno di un curriculum.
Si vestii con l’abito da studio, un enorme pigiamone con un coniglietto sorridente nel mezzo, i capelli raccolti all’insù ed accese il PC.
Passata con facilità la parte dei “dati anagrafici”  e  degli studi dove capeggiava in bella mostra la laurea in lettere fresca di giornata, cominciò quella più difficile, ricordare dal più recente al più vecchio i lavori che avevo svolto. Un po’ qui e un po’ là ne aveva svolti per mantenersi agli studi. Non voleva di certo far pesare la sua scelta in famiglia. Per di più i suoi non erano contenti dell’indirizzo scelto. Avrebbero preferito Legge. Ma a lei la legge non interessava proprio.
Alla fine si erano commossi quando il Presidente l’aveva proclamata “Dottore in Lettere”, ma quante discussioni aveva affrontato prima di allora?
Guardò fuori dalla finestra in cerca di ispirazione.


Più che ispirazione trovò distrazione. Si perse in fantasie variegate: ora ambasciatrice nella meravigliosa Parigi, ora capo redattore di una nota testata giornalistica.
Così non funzionava, perdeva troppo tempo, forse era meglio buttar giù degli appunti sulla carta.
Guardò la sveglia che con i suoi occhioni rossi segnava - 12: 02.
Tardissimo!
 “Il primo giorno da laureata ed ho bighellonato per tutta la giornata. Non proprio! Ho cominciato ad investire del tempo sul mio futuro.. quando il curriculum sarà pronto chiunque vorrà lavorare con me e dovranno mettersi in fila!”.

Aveva impiegato un po’ di tempo però ora il curriculum era pronto, graficamente bello ed elegante, pensando che anche l’occhio volesse la sua parte.
Ora occorreva spedirlo, ma a chi?
Cominciò a navigare in internet, il modo più veloce ed economico che conoscesse.
Alle 3:00 aveva oramai spedito una cinquantina di curricula.
Era soddisfatta.
Meno soddisfatto era lo stomaco che reclamava qualcosa da mangiare.

Ciò che aveva immaginato non si era esattamente avverato.
Non una sola telefonata in dieci giorni.
“Io una brillante laureata in Lettere così a spasso. Un vero spreco! La mia è davvero una laurea versatile” cercava così di farsi coraggio, con scarso profitto.
Oramai in preda alla tristezza ed al cattivo umore se ne stava sul letto avvolta nella sua coperta preferita guardando fuori dalla finestra.
Il cielo era grigio e faceva freddo nonostante da calendario fosse primavera già da due settimane.
In questi casi il suo antidepressivo naturale era vedere un vecchio film di Woody Allen, ma questo stato durava da più di cinque giorni oramai così aveva esaurito tutta la filmografia disponibile.
Aveva visto “Io e Annie” già tre volte. Era proprio alla frutta.
Cominciò a pensare che forse avrebbe dovuto abbandonare il suo appartamento.
L’aveva preso in affitto oramai da due anni. Dall’ultima litigata furente con il padre, per motivi tanto banali che non ricordava neanche più.
Aveva deciso di andare via dalla casa dei suoi per continuare ad avere dei buoni rapporti con loro.
Così aveva comprato un giornale ed aveva segnato qualche annuncio che soddisfacesse un unico requisito: il prezzo.
Neanche a dire che la ricerca fu ardua e presto imparò a tradurre il gergo immobiliare.
“Graziosa” equivaleva a “è un buco in cui ci puoi infilare solo le scope”;
“Da personalizzare”: “lascia perdere che casca l’intonaco dalle pareti”
E così via. Quando oramai stava per rinunciare, una compagna di corso annunciò che la settimana successiva si sarebbe sposata.
 «Bene!» le dissi per niente convinta.
In realtà questa sua decisione, che lei riteneva folle, si rivelò una manna; avrebbe potuto affittare il suo monolocale . Andò a dare un’occhiata ed era la fine del mondo.
Piccolo ma ben disposto. Un cucinino, il bagno, una stanza grande. No, correggo, enorme.
 Le chiese timidamente quanto avrebbe voluto la sua padrona di casa per un simile gioiello.
«Tesoro» mi aveva risposto con fare materno ed ironico «la padrona di casa sono io! »
Gli occhi le si illuminarono si sarebbe messa a piangere dalla gioia.
Si misero d’accordo sul prezzo e con un mucchio di lavori saltuari, mal pagati e spesso stupidi, riuscì a tenersi quel posticino.
Fino a quel momento.
Pensava già a come sarebbe stato difficile lasciarlo. Tornare indietro.
 “Neanche morta!”. Questa fu la conclusione alla quale giunse.
Aveva ancora un po’ di soldi da parte, fortunatamente non aveva mai avuto le “mani bucate”.
Ma per quanto ancora avrebbe potuto resistere senza un lavoro?
Non voleva pensarci. Ma non ci riusciva.
Il tempo non migliorava di certo l’umore.
Minacciava di piovere da un momento all’altro.
Aveva fatto alcune telefonate, risposto a diversi annunci e cosa aveva ottenuto?
Fece un rapido esame.

Avevano cercato di venderle un corso alla modica cifra di 2600 euro.
Aveva parlato con un’ameba che voleva che si mettesse a vendere ascensori. Le restò impressa perché le faceva le domande e doveva anche darsi da sola le risposte.
Per non parlare di quel meraviglioso momento che era stato il colloquio di lavoro che aveva fatto due o tre giorni prima.
Si recò nel posto che le era stato indicato. Uno squallido palazzo di tre  piani.
Entrò chiedendosi perché non si fosse portata una pistola o almeno una guardia del corpo.
Salì al quinto piano. Quando l’ascensore si aprì notò un mucchio di scatoloni ed uno specchio scheggiato addossati alle pareti.
Una specie di Barbie in versione umana la fece accomodare. Le sedie puzzavano di fumo. Pensò a come scappare ma del resto aveva davvero bisogno di un lavoro.
Magari la sede non era quella. Pensò speranzosa. Mentre si guardava attorno scorgendo sempre diversi e deliziosi piccoli particolari , arrivò il suo esaminatore.
Indossava un completo grigio che tuttavia non gli conferiva un aspetto elegante. Sembrava un venditore di auto usate intrallazzone.
Le porse la mano e si presentò. Che schifo!
La mano era umidiccia e la stretta lieve. le sembrò d’aver stretto un calzino bagnato.
Le presentò il lavoro, ma lei era già altrove appena accennò al salario: 2 euro l’ora più incentivi non meglio identificabili.
Scappò di corsa. Inutile dire che non l’avrebbero vista mai più. Non era poi così disperata.
Mentre ragionava tra sé il telefono squillò.
Guardò il display: “numero privato”.
«Meraviglioso chi altro vuole prendermi in giro, derubarmi, offrirmi un posto squallido? >> chiese ad alta voce ed infine rispose.
Una breve chiacchierata ed olè aveva trovato lavoro, poteva cominciare subito, doveva occuparsi di interviste telefoniche. Non male. Non era il massimo ma non male.
Si vestì in fretta e furia.
Arrivò nel luogo indicatole dopo aver attraversato mezza città.
“Va bene !” pensò “un piccolo inconveniente per uno stipendio minimo ma comunque sempre stipendio”.
Purtroppo non avrebbe goduto di ferie, malattia ed altri vantaggi simili ma non importava.
Entrò nel palazzo ed ebbe un déjà-vu.
Non era la reggia di Versailles ma sicuramente l’interno sarebbe stato migliore.
Fece una rampa di scale e si ritrovò di fronte al portone con una targhetta scritta a mano
“EXPLORER”.
Entrò con una certa diffidenza.
La ragazza dietro al bancone le fece cenno di accomodarsi mentre discuteva animatamente al telefono.
Rimase seduta per una decina di minuti infine arrivò la signora con cui aveva parlato al telefono.
Era alta, capelli malamente tinti, denti ingialliti dal fumo l’accolse con un sorriso che non prometteva nulla di buono. La accompagnò in una saletta.
Le mura gialle, non vedevano la pittura fresca chissà da quanto tempo.
Faceva freddo. Un freddo che la innervosiva. Stranezza nella miseria, non c’era nessuna finestra.
Sembrava uno di quei locali che nei film adibiscono per gli interrogatori.
Si guardò intorno. Vi erano due tavoli con un telefono ed un computer ciascuno.
Le comunicò con il sorriso più grande, e sempre più giallo, che quella era la sua postazione, più tardi sarebbero arrivate le due colleghe ora in pausa pranzo.
“Pausa pranzo alle tre?” pensò che fosse strano.
“Altre due colleghe e solo due tavoli…” pensò che non doveva essere molto ferrata in matematica.
Sentì battere le mani come un singolo applauso. Si scusò e le disse che avevano qualche problema con le zanzare.
Zanzare? Non ne aveva ancora viste in giro, come facevano a stare lì dentro?
Il freddo le impediva di ragionare serenamente.
Cominciò a illustrarle il lavoro, non era difficile, ma la sensazione era davvero sgradevole.
Arrivarono le colleghe.
“Maga Magò e Amelia la strega che amalia”
Una era grassa, un vistoso porro sotto il naso dove prosperavano un bel paio di baffi che suo nonno se li poteva sognare. L’altra smilza e  la faccina da topo. Color topo erano anche i suoi capelli.
Sarebbe dovuta rimanere lì dentro per otto ore con quelle due “signore”.
Non la degnarono di uno sguardo. Presero posizione come un plotone di militari durante una sfilata.
Iniziarono a telefonare guardando fisso davanti a sé le mura spoglie.
Non sapeva cosa fare.
Le lacrime erano sul punto di venir fuori ed a stento riusciva ricacciarle dentro.
Chiese di andare in bagno. Lì faceva troppo freddo per pensare.
Infatti la sua pensata la fece dopo aver pianto un po’.
Doveva andar via di lì al più presto.
Rientrò nella stanza mentre nessuno si occupò della sua presenza. Disse che non si sentiva bene e prendendo le sue cose, che erano state riposte nel mobiletto della stanza, scappò via.
Corse via letteralmente. Arrivò all’auto che non aveva oramai più fiato vi entrò e poggiando la testa sul volante cominciò a ridere di gusto.
Aveva perso un posto di lavoro e chissà quando ne avrebbe trovato un altro ma era felice.
Mise in moto e si allontanò da lì.

Passarono dieci giorni tra frenetici lavori domestici.
Rivoltò casa come un calzino quasi sperasse di trovare lavoro tra quelle mura. Fece l’inventario dei libri, gettò via un mucchio di roba vecchia.
Arrivò così la sera era stanca e non aveva voglia di vedere nessuno; del resto uscire significava spendere un mucchio di quattrini che non aveva.
Oramai le sue giornate passavano tra vecchi film ed infinite conversazioni con la mia amica Stef.
La mattina la passava su internet in cerca di un’opportunità di lavoro. Aveva inviato così tanti curricula che se qualcuno avesse chiamato non avrebbe capito di cosa stesse parlando. Si sarebbe dovuta mantenere sul vago dicendo «Certo, certo che ricordo dica pure!» sapendo benissimo di mentire spudoratamente.
Attendeva che il telefono squillasse più di ogni altra cosa al mondo.
Quando sullo schermo leggeva le parole magiche “numero privato” ricominciava a sperare.

Durante uno dei tanti sabato passati a rassettare squillò il telefono.
Sapeva che era per un lavoro ma non ci credeva…erano le dieci e trenta di sabato mattina… chi mai avrebbe fissato un colloquio nel week end?
Un uomo di spettacolo!
«Buon giorno, sono Felix Ambrogi della compagnia di teatro TEATRIX, mi ha mandato un curriculum qualche giorno fa, si ricorda ? »
Rispose affermativamente e non mentiva.
Quando aveva visto che cercavano delle maschere a teatro si era precipitata ad inviare il curriculum.
Avrebbe potuto guardare gli spettacoli gratis!
In scena in quei giorni c’era l’Avaro di Molière, non era un titolo originale ma il “classico” le era sempre piaciuto.
Continuò a parlare per un po’ ed ebbe l’impressione che fosse un pallone gonfiato.
La lasciò di stucco quando le chiese di descriversi. Era stata presa in contropiede e glielo disse senza troppi complimenti.
Infine mi fisso il colloquio per la sera stessa .
Un colloquio di sabato sera alle otto e trenta?
Mai sentita una cosa del genere … il mondo dello spettacolo ha regole sue e questo è noto.

Aspettò con impazienza la sera anche se un fastidioso nodo allo stomaco, una sensazione sgradevole non l’abbandonò per tutto il tempo. Mise il suo unico tailleur e delle scarpe con il tacco che neanche ricordava più di avere. Alla fine fare tutte quelle pulizie aveva avuto anche un senso.
Andò con l’auto anche se era in centro, il teatro era davvero lontano e  non sapeva a che ora avrebbe finito.
Trovò posto dopo aver girato come una disperata, proprio quando aveva perso ogni speranza vide le luci posteriori di un auto accendersi. Quel sant’uomo stava uscendo lasciando a lei il posto. Inchiodò. Per fortuna dietro non aveva nessuno.
Arrivò in perfetto orario. Un gruppetto di ragazzi attendeva nella hall.
In un primo momento credette che fossero anche loro lì per il colloquio.
Solo dopo capì che erano lì per acquistare il biglietto dello spettacolo.
La luce era soffusa e al centro della stanza era sistemato un banchetto come delle scuole. Vi erano sedute una donna e un uomo. Dei blocchetti di biglietti in ordine di grandezza erano sistemati sul tavolo.
Conosceva bene quei biglietti ne aveva venduti a tonnellate lei stessa quando lavorava presso la biglietteria di un cinema.
Si  avvicinò e chiese con chi doveva parlare per il colloquio.
La signora cadde dalle nuvole e si stupì :
«Un colloquio, qui, di sabato sera? »
La stessa cosa che aveva pensato lei poche ore prima.
« Questo è il teatro Goldoni, questa è via Goldoni perciò direi di si!» esclamò non poco indispettita.
La fecero mettere in un angolo ad attendere che fosse svanita la fila .
Trascorse un’ora in piedi come un’allocca. Intanto guardava la gente che passava e spassava. Per lo più studenti universitari che esibivano la tessera per ottenere il prezzo ridotto.
Finalmente la fila si esaurì, come anche la sua pazienza.
Spiegò con tutta la calma che le era rimasta che qualcuno le aveva telefonato dandole appuntamento lì.
La signora le in faccia in barba al divieto sancito dal cartello alle sue spalle e la guardava con aria perplessa come fosse una svitata in cerca di rogne.
Infine entrò nella sala un ometto, basso, troppo grasso per la sua statura, un paio di baffetti piccoli e neri e vestito come un bovaro con stivaletti beige in finto coccodrillo.
« Hai fissato tu un colloquio a questa ragazza? » disse in maniera sguaiata togliendosi svogliatamente la sigaretta di bocca.
«Ah, lei è qui?! Alla buon’ora! »
E dove voleva che fossi?
«Perché non ha chiesto di me? »
“Perché non ricordavo più il suo stupido cognome, imbecille!”.
«Non sapeva di chi chiedere» intervenne la donna.
«Lei manda i curriculum e non sa a chi li manda? Male! Comunque si accomodi»
Non aveva un ufficio. La fece accomodare su di una poltroncina da teatro piazzata fuori dalla porta della sala dove si svolgeva lo spettacolo che era da poco iniziato.
Dovevano parlare a bassa voce. Si ritrovò seduta fastidiosamente vicino a quel tipo. Il fastidio montava ma non poteva di certo rimanere in piedi!
Le sembrava di parlare con un prete. Era un millennio che non si confessava.
Le chiese che lavori aveva svolto. Identica domanda postale al mattino per telefono. Alla fine le fece sapere che se avesse avuto bisogno di una maschera l’avrebbe chiamata. Anche questo l’aveva già detto al telefono.
Perché era lì allora?
La congedò con una molla stretta di mano ed un sorriso falso come Giuda.
“Era un défilé” pensò arrabbiata. “Voleva sapere se ero passabile o se non avessi per caso  tre dita in una mano o due teste!”
Era furibonda, era tutto troppo ridicolo.
Tornò all’auto facendo attenzione a chi si trovava intorno.
Non aveva fame ma dalla trattoria lì vicino arrivava un odorino niente male.
Non poteva mangiare fuori.
Cominciava anche ad alzarsi un vento furibondo ed accelerò il passo. Le facevano male i piedi. Lo diceva che le scarpe con i tacchi erano scomode?!
Non andò a casa ma si fermò in una gelateria nel  quartiere cinese.
Aveva le pareti gialle e tutto era nuovo. Comprò un gelato enorme e lo mangiò alla faccia del bovaro.
Ancora un gelato poteva permetterselo.

Al mattino si svegliò ancora di cattivo umore per quanto successo la sera prima.
Era domenica. Passò tutto il tempo sul divano guardando vecchi film.
Il brutto tempo incombeva sulla città. Il cielo era nero ma non  aveva ancora deciso se piovere o meno. Non le importava troppo tanto sarebbe rimasta tutto il giorno in casa.
Unico contatto di tutta la giornata fu Stef che la chiamò verso l’ora di pranzo per sapere com’era andata visto che aveva annullato un appuntamento con lei ed alcune sue amiche.
Mentre raccontava quanto successo, la rabbia tornava a fare capolino mentre la sua amica la interrompeva ora con un «nooooo!» ora con un «seeeee».
Il resto della giornata trascorse tranquilla. Stef si offrì di farle compagnia ma rifiutò educatamente.



Il Lunedì mattina era solitamente tragico.
E quello non faceva eccezioni. Il telefonò squillò al mattino presto e la fece svegliare di soprassalto.
«Sono Felix e sono felice di comunicarle che vogliamo faccia parte del  nostro staff! »
«Vai al diavolo! »  e buttò giù senza pensarci due volte.
Le venne da ridere ma il buon umore durò ben poco.
Aveva rifiutato un altro impiego. Se avesse continuato così sarebbe finita sotto un ponte o alla caritas. “Quel tizio voleva vedere se avevo tre gambe o due teste? Che male c’era?”
Ma la sola idea la rendeva furiosa.
Onde evitare di rimanere tutto il giorno a guardare il soffitto a contare le ragnatele che non era stata in grado di eliminare, decise di uscire.
Non aveva voglia di vestirsi, ma sapeva che un po’ d’aria fresca le avrebbe fatto bene.
Se non altro quel tempo grigio e le abbondanti piogge avevano ritardato l’arrivo dell’immancabile allergia. Come d’estate arrivavano gli articoli sulle diete così in primavera cominciava a gocciolarle il naso.
Non aveva voglia di guidare ma solo fare quattro passi.
Uscendo dal portone incontrò la signora che abitava sul suo stesso pianerottolo.
Non aveva mai scambiato grandi discorsi né con lei né con altri del vicinato.
La salutò. Le sembrava da maleducati non fermarsi a chiedere come stesse.
Non che avesse altro di urgente da fare del resto.
Chiacchierando venne fuori che si era laureata da poco e che cercava lavoro. Come se non fosse oramai il suo unico argomento di conversazione.
Fu così che scoprì che la signora, ora in pensione, aveva lavorato in una casa editrice e le disse che se voleva poteva darle un curriculum.
Preparò un curriculum apposta non appena rientrata in casa.


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