lunedì 28 gennaio 2013

CAPITOLO 3

Buongiorno a tutti e buon inizio di settimana!
Qui a Milano oggi nevica.. speriamo che smetta presto anche se è sempre bello vedere venir giù la neve.
Spero che il vostro week end sia andato come volevate.. io non posso lamentarmi!
Vi lascio con il terzo capitolo del mio romanzo, spero vi piaccia...
Buona giornata!!


CAPITOLO 3


Era già passata una settimana da che aveva consegnato il curriculum alla vicina.
Le veniva sempre in mente la frase “senza impegno” sussurrato tra la dentiera e la porta di casa che si chiudeva.
Non ci aveva mai creduto più di tanto, solo una piccola speranza forse.
Il campanello la fece tornare in sé:
«Buongiorno!»
La vicina. Già dall’espressione compassionevole aveva capito che non aveva buone notizie per lei.
Purtroppo la sua casa editrice non ricercava nessuno in quel momento.
La ringraziò per il tentativo fatto cercando di sorriderle.
Aveva già sentito quella frase.
Alcune case editrici le avevano risposto in seguito all’invio del curriculum e dicevano tutte più o meno la stessa cosa:

Gentile Signora,
siamo lieti che abbia scelto la nostra casa editrice , ma in questo momento non siamo alla ricerca di personale con le sue caratteristiche, saremo felici di mantenere il suo curriculum nella nostra banca dati…ecc.

In parole povere, non se ne faceva niente.
La tristezza ed un gran senso di impotenza cominciava ad impadronirsi di lei.
Quando anni addietro aveva scelto la facoltà era conscia delle difficoltà a trovare un lavoro che le piacesse ma non aveva in mente a che grado di disperazione sarebbe potuta arrivare. Non per l’effettiva mancanza di denaro o di cibo… era il non sentirsi realizzati sentirsi in qualche modo inutili che la stava deprimendo sempre più.
Quando oramai l’umore era sotto il letto il telefono squillò.

Si alzò di scatto e sedette sul bordo del letto. Fissò il telefono per un attimo o due ed infine rispose.
«La dottoressa Giulia Serafina ?»
Non sapeva mai come rispondere… in maniera spiritosa o professionale?
Risposi la prima cosa che le venne in mente:
« Sono io » Originale!
« Buongiorno, siamo la Ediwork abbiamo ricevuto il suo curriculum e la vorremmo incontrare, se per lei va bene ! »
Finalmente la telefonata che stava aspettando da quasi un mese, si affrettò a rispondere come se temesse che cambiassero idea.
«  Si, mi dica pure »
«  Se per lei va bene potremmo vederci domani alle 15.00».
Dopo qualche altra breve battuta si congedarono.
Dopo il colloquio lampo dell’ultima volta era un po’ prevenuta ma del resto aveva bisogno di lavorare e non poteva fare molto la schizzinosa.
Si sentii un po’ meglio, pensando che quella poteva essere la volta buona. Si infilò sotto la doccia pensando a cosa avrebbe dovuto indossare il giorno dopo.


Doveva ottenere quel posto!
Passò il resto della serata con la testa nell’armadio scartando uno dopo l’altro tutti i vestiti conversando telefonicamente con Stef.
Decisero insieme che un gessato le avrebbe conferito un’aria professionale ed una maglietta beige con dei ricami accennati sul bordo del colletto che avrebbe dato un tocco di eleganza.
Parlare con lei la rincuorò anche se passò la notte girandosi e rigirandosi nel letto.
Se non l’avessero presa? Cosa avrebbe fatto?
Cominciò a pensare che era più di un mese che non lavorava... e se non avesse mai più trovato un lavoro?  Forse stava esagerando! Chissà come mai le idee peggiori saltano fuori di notte.
Sarà forse per il buio, il silenzio o tutto l’insieme.
In ogni modo sognò una donna con i capelli lunghi ed arruffati con un tailleur che in un’altra vita doveva essere un gessato, mentre strascinava, sotto un ponte rimestando tra i rifiuti, un carrello della spesa ricolmo di robaccia.

Passò quindi gran parte della mattinata cercando di riparare i danni di una notte strana, pregna di sogni assurdi.
Si immerse in un cappuccino caldo mentre Woody Allen cercava di distrarla in attesa dell’ora ics.
L’ora in cui avrebbe indossato il vestito che già l’attendeva disteso per bene sul suo letto ancora sfatto.
Controllò per la terza volta che la maglietta fosse pulita, stirata.
Quel colore faceva a pugni con il gessato? La maglia era troppo scollata? Aveva un’espressione abbastanza intelligente? Era un po’ nervosa.

Quella mattina faceva davvero caldo. Sembrava che la primavera, svogliata , fosse rimasta a letto ed avesse ceduto il passo direttamente all’estate. Rimpianse d’aver indossato il vestito.
Salì sull’autobus. Chiese all’autista a quale fermata sarebbe dovuta scendere.
Fu molto gentile. Vedendola vestita in quella maniera le chiese se per caso non stesse andando ad un colloquio di lavoro. Scambiarono qualche parola e mentre scendeva le augurò “in bocca al lupo!”
Si sentì tranquillizzata da quello sconosciuto, era bello ogni tanto incontrare gente così gentile; era vieppiù piacevolmente sorpresa perché di solito gli autisti sbraitano le loro risposte, quando si degnano di dartele.
Infatti il nuovo conducente, alla sua richiesta di informazioni le rispose con una specie di grugnito dicendole più o meno che non sapeva. E se anche lo avesse saputo non aveva intenzione di dirglielo, pensò lei.
Arrivò con circa mezz’ora d’anticipo.
Era patologicamente incapace di arrivare all’ora giusta. Temendo di arrivare in ritardo, era sempre in anticipo ed anche questa volta non fu diverso.
In portineria la fecero accomodare su una poltroncina di ferro davvero scomoda!
Che fosse un test?
Sul tavolino la solita pila di riviste da parrucchiere.
Dopo circa un’ora, che passò guardandosi intorno cercando di non perdere la pazienza e la concentrazione necessarie, arrivò il dottor Passeri.
La persona che avrebbe deciso del suo futuro. Barbona o donna in carriera?
Fu additata dal portiere così l’uomo si avvicinò con un grande sorriso e la mano protesa in avanti.
«Buongiorno! Mi scusi per il ritardo!»
«Buongiorno! » rispose con il sorriso migliore che poté pensando che se fosse arrivata lei con qualche minuto di ritardo avrebbe, quasi certamente, potuto dire addio all’impiego.
Anche ad avere una buona scusa come essere stata investita da un autobus, non avrebbe avuto molta importanza. Cercò di non pensarci e lo seguì.

Lo guardò attentamente. Aveva un’età indefinita, forse non aveva superato la trentina.
Lo si poteva definire ancora un ragazzo. Però doveva essere in gamba se così giovane si trovava lì.
La fece accomodare nel suo ufficio.
Una stanza semplice ma graziosa.
La scrivania era imponente e occupava gran parte dello spazio.
Il colloquio durò circa quaranta minuti e le fece molte domande.
Alla fine si congedò con un “arrivederci” nel quale ripose tutte le sue speranze.

Tornò a casa affamata.
Decise di telefonare a Stef per invitarla a cena, non poteva sopportare di mangiare da sola quella sera.
La telefonata fu breve le chiese se poteva venire. Lei accettò facendole promettere che avrebbe ordinato una pizza, come se non si fidasse della sua cucina.

L’amica arrivò rapidamente era curiosa di sapere come fosse andata, così le raccontò dell’autista, dell’attesa e infine del colloquio.
Quasi in sincronia con l’uomo della pizza, terminato il racconto citofonarono.
 Infilò un paio di scarpe e corse giù dove, infondo alla scala un ragazzo sudamericano l’attendeva con la pizza fumante.
Che odorino! Pagò e corse su facendo attenzione a non far cadere i cartoni per terra.
L’amica intanto stava armeggiando con il lettore dvd.
«Tu saresti capace di farmi vedere Woody  Allen! »
Aveva giocato d’anticipo.
« Non ho solo i suoi film ! » le rispose piccata, sorvolando sul fatto che in quei giorni  non aveva fatto altro che vederli e rivederli.






























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