mercoledì 23 gennaio 2013

Il mio primo romanzo: "Donna in carriera"

Cosa proporre oggi?
Teatro, cinema, ristorante o fotografia?
No ! Per oggi, e per i giorni a venire nel caso lo vogliate, vi metterò a disposizione un capitolo del mio primo romanzo - mai pubblicato - e di cui vado orgogliosa se non altro per averlo portato a totale compimento.
Accetto critiche e suggerimenti!!

Buona giornata!!



DONNA IN CARRIERA

by corbyflo


CAPITOLO 1

Stretta in braccio come un bimbo, la tesi odorava ancora di nuovo: di copisteria e colla.
Guardandosi attorno c’era da stralunarsi. Parenti ed amici di varia natura passeggiavano nervosamente su e giù come in una sala d’attesa di un reparto maternità.
In un angolo, un ragazzo, l’abito appena comprato per l’occasione, mandava su e giù la gamba come riprova dell’esistenza del moto perpetuo.
Lanciava di quando in quando sguardi carichi di odio verso il cartello che minaccioso gli ricordava che era vietato fumare. Uscire, forse, per poter assaporare un po’ di tranquillità?
No certo. E se avesse perso la campanella?
Ecco cos’era per lei l’esame di laurea; un passaggio di stati d’animo tra il suono di due campanelle.
Lo stomaco in bocca sulle prime e quando oramai il più era fatto restava solo la consapevole tranquillità di vedere come sarebbe andata a finire.
Mentre si guardava attorno cominciò a pensare al primo giorno di università.
Arrivando trafelata e spaesata non riusciva a trovare l’aula.
Chiedeva in giro a chiunque capitasse ma nessuno sapeva indicargliela.
Quando la trovò era in ritardo di cinque minuti.
La porta era chiusa e non ebbe il coraggio di entrare.
Il volto rosso e la cartina della città in mano se ne stavo davanti a quella porta chiusa.
Non frequentò il corso di filosofia quell’anno. Aveva perso la prima lezione e ne aveva imparata un’altra: mai fermarsi davanti una porta apparentemente chiusa.
In quel momento, passati cinque intensi anni si ritrovava ancora davanti all’ennesima porta con la consapevolezza che sarebbe andato tutto bene. Aveva avuto dei segni premonitori durante quell’inizio di giornata.
In auto, uscendo da casa, era passata con un giallo “abbondante” (per non dire che era scattato il rosso) ed il vigile che era fermo poco più avanti non l’aveva fermata imprecando in cinese.
Arrivata nei pressi dell’università aveva trovato subito parcheggio il che era una specie di miracolo.
Mentre pensava a tutto questo una voce interruppe il filo dei suoi pensieri.
«Giulia Serafina»
“Tocca proprio a me, ok, non sono agitata, non sono nervosa, ho lavorato duro e so il fatto mio, sono decisa”.
Campanella. Entrò nella stanza si concentrò per tenere la testa alta ed il passo non troppo svelto.
C’era già stata ma quella volta la sensazione era assolutamente diversa.
Ora toccava proprio a lei. Non poteva nascondersi nell’ultima fila di sedie sperando di non destrare troppo l’attenzione.
La stanza era grande; sul soffitto erano montati dei neon che assomigliavano a quelli delle sale operatorie. Degli enormi, bianchi, dischi volanti.
Che pensieri strani partorisce la mente nei momenti di tensione.
Rispose alle domande con correttezza e precisione, venne distratta solo dai due professori infondo al tavolo che ridevano e sghignazzavano tra loro. Ma non gliene importava più di tanto.
Non seppe come ma si ritrovò fuori prima che potesse accorgersi di qualcosa. Aveva finalmente finito.
Amici e parenti l’abbracciavano, l’odiato Prof. che per mesi l’aveva perseguitata le chiese se era contenta del risultato, mentre il suo giovane assistente, forse perché aveva già passato quel momento per lui più vicino nel tempo, la guardava fissa negli occhi accorgendosi, forse ancor prima di lei, che qualcosa non andava.
Si ritrovò a festeggiare nell’ampio cortile sotto un caldo sole primaverile con l’odore di erba bagnata che la fece tornare a contatto con la realtà.
Quello o forse l’ondata di spumante che la investì permettendole così di prender parte alla festa.
Non sapeva identificare la sensazione che provava e tanto meno riusciva ad esprimerla a parole. Sperava solo che nessuno se ne accorgesse così da non dover rispondere alle domande.
Tra le frasi inopportune che l’umana specie dovrebbe evitare di utilizzare in determinate occasioni c’è sicuramente: «Ed ora? » ad un neo laureato.
Quella domanda sparata a caso nella folla l’aveva contemporaneamente atterrita ed atterrata.
Non che non ci avesse pensato prima, solo che trovarsi lì in piedi tra la vita di studente e il barato dell’ “altro” le aveva messo un po’ d’angoscia.
Del resto era stata una studentessa per 25 anni, ed ora?
Non era una studentessa, non era una lavoratrice, cos’era?
Crisi esistenziale in piena regola!

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