giovedì 7 febbraio 2013

CAPITOLO 6

Buongiorno,
dopo qualche giorno di assenza rieccomi... un pò stanca e provata dalla settimana complicata!!
In trepidante attesa del  week end, è un pò triste ma spesso mi sembra di passare la settimana come davanti alla vetrina del pasticcere in attesa che arrivi la guantiera giusta!!
Detto questo vi lascio il sesto capitolo del romanzo... buona lettura!



Bruxelles, vetrina di waffel





CAPITOLO 6

Quattro giorni dopo ricevette una lettera. Sapeva che era la sua ancor prima di alzare l’anta della cassetta.
Qualche spiritosone aveva imbucato anche la bustina vuota di una brioche.
La tirò fuori con cura quasi che potesse autodistruggersi se l’avesse agitata troppo.
Il mittente non era segnato.
Aprì la busta e solo allora ebbe la conferma di quanto aveva solo sperato:

Chère Giulia,
come sta? Io bien.
Qui à Paris tutto va ok.
Come va tuo lavoro? Spero bien.
Qui c’è tanto da faire che posso scrivere poco.
Ti invio però la photo che abbiamo fatto la sera che siamo usciti.
L’ho trovata nel portfeuille.
Scrivi presto tue notizie.
            Luc”
Della foto si era dimenticata.
L’aveva scattata con una vecchia polaroid un ragazzo che vendeva rose.
Luc l’aveva nascosta nel portafoglio per timore che la strappasse, avendogli detto che era venuta malissimo. Rimase un po’ delusa. La lettera era fredda e di lui non diceva praticamente nulla.
Era comunque contenta di averla ricevuta e non appena ebbe due minuti liberi scrisse la risposta che non risultò molto più lunga della sua.
Pensò di inviargli qualcosa così la lettera non sarebbe sembrata così misera come in realtà era.
Le venne in mente che andava matto per il cioccolato italiano così approfittò della pausa pranzo per andare a comprare una scatola  di cioccolatini che spedì insieme alla lettera.

Tornata in ufficio la attendeva una bufera, e lo ignorava.
« Ma si può sapere come lavora? Ha la testa altrove forse?»
Beccata!
« In questo fascicolo manca di tutto! Ma il buon senso dove l’ha lasciato? »
Di nuovo la storia del buon senso.
Prese il fascicolo incriminato e si diresse alla scrivania senza fiatare.
Cominciò a sfogliarlo ma non ricordava nulla in proposito. La sua leggendaria memoria cominciava a fare cilecca alla veneranda età di 25 anni?
Invece scoprì che non c’era.
La sua sigla non c’era!
Su ogni fascicolo che controllava apponeva una specie di scarabocchio e lì non c’era.
Era furibonda.
Aveva fatto la figura dell’imbecille davanti a tutto l’ufficio senza alcuna ragione.
Il pasticcio che aveva in mano non era il suo. Cercando di mantenere il massimo della calma si alzò e si avvicinò alla scrivania della Pittima, senza urlare ma in modo che tutti potessero sentirla le fece notare che non aveva mai visto quel fascicolo prima d’ora e le spiegò la storia della sigla.
La guardò sopra le lenti spesse con occhi inespressivi e con voce appena percettibile:
«Va bene lo lasci pure lì! »
Il suo sguardo ritornò sulle carte.
Va bene?
Sentì il sangue ribollire e decise di rintanarsi in bagno.
Cominciò a prendere a pugni l’aria prima che le venisse l’istinto di prendere a pugni lei.

La calma tornò dopo un paio di ore.
Disse a se stessa che non doveva prendersela così.
Era passata solo una settimana e ciò che aveva temuto si era avverato.
Francesca si avvicinò di soppiatto e scuotendo la bionda testolina le disse:
«Hai visto? Qui è sempre la solita storia! » e sbuffando andò via come se il rimprovero fosse toccato a lei.
Rimugino su quanto accaduto per tutto il giorno quando infine si rese conto che era arrivata l’ora di andare a casa.
Uscita dall’ufficio veniva giù una leggera pioggerellina.
Quella mattina aveva parcheggiato più lontano del solito, ma non le dispiaceva passeggiare sotto l’acqua. Come al solito non aveva l’ombrello ma quella doccia naturale le fece bene. Era l’unica che girava felice sotto l’acquazzone mentre si dirigeva con molta calma verso l’auto.

Rientrata a casa si preparò un bagno caldo, era fradicia.
Si tolse i vestiti e li infilò nella lavatrice. Era persino inutile farli asciugare.
Poi infilò se stessa nella vasca con la voce di Eric Clapton che la cullava nel bagnoschiuma.
Dopo essere rimasta in ammollo per una mezz’ora abbondante andò verso il frigo. Non aveva intenzione di preparare una cena, ma solo di piluccare qualcosa.
Si avvolse nella coperta, un dvd nel lettore e schiacciò play.
Alle prime note di "As time goes by" si addormentò sul divano.

Si alzò con un forte mal di testa.
Erano le nove del mattino doveva essere in ufficio già da mezz’ora!
Non aveva sentito la sveglia!
Panico! Si vestì in fretta e furia mentre chiamava l’ufficio.
Non riusciva a mettersi in contatto con il capo, del resto ero lei che rispondeva alle sue telefonate.
L’ultima risorsa era chiamare Donatella sul telefonino e chiedere di lasciare un messaggio alla Pittima. Così fece.
Arrivò decisamente in ritardo ma ciò che la angosciava maggiormente era il pensiero di recuperare l’ora e mezzo a fine giornata.
Si recò come prima cosa dalla Pittima ma al suo tavolo non c’era.
Le avrebbe fatto notare che c’era non appena fosse rientrata.
Non le ne diede il tempo.
Si pose difronte alla sua scrivania labbra strette, occhi in fuori e le parlò lentamente:
« Non è affatto corretto da parte sua!»
«Mi dispiace ma si è rotta la sveglia» improvvisò.
«Non mi riferisco a quello, per il ritardo può sempre recuperare »
«Non si preoccupi rimarrò qui sta sera »
«Va bene, va bene » si affrettò a dire «Non è al ritardo che mi riferisco… la prossima volta che ha qualche comunicazione da fare alla sottoscritta è pregata di parlare direttamente con me e non lasciare messaggi, come se Donatella fosse la sua segretaria »
Donatella che era seduta alla sua scrivania, sentendosi nominare alzò lo sguardo e scosse la testa in segno di appoggio per farle capire che a lei non importava.
«Mi scusi, ma io ho provato a chiamare ma non mi ha risposto nessuno così …»
La interruppe ancor prima che finisse la frase.
«Non è possibile io sono alla mia scrivania dalle otto di questa mattina »
“Brava, vuoi un applauso!” pensò ma non lo disse, invece si limitò
«Magari era al bagno o a prendere un caffè »
«Io non vado a prendere caffè, comunque se vuole avere ragione a tutti i costi! »
« No! Avrà ragione lei! » disse seccata da quella stupida conversazione.

Non era soddisfatta della risposta ma oramai non aveva più nulla da ribattere e finalmente andò via con il suo caffè in mano.
«Ma che bella mattinata! »
«Io non ho detto assolutamente nulla!» si affrettò ad informarla Donatella
«Lo so, evidentemente sta mattina aveva voglia di prendersela con qualcuno, Francesca non è ancora arrivata? »
« Si, è arrivata !» le disse sorridendo e le offrì un caffè.
Era appena arrivata ma accettò lo stesso il caffè. Era così nervosa che se qualcuno avesse osato dirle qualcosa l’avrebbe mangiato vivo.
La signora Spugna era lì, davanti alla macchinetta del caffè in contemplazione.
Non sapevano come farla tornare dal suo stato di catalessi così si schiarì la voce ed infine tossì.
«Oh, scusate! Dovete prendere un caffè? »
Ma che domanda stupida. No, erano lì per ammirare il panorama.
« Arrivederci! » girò sui tacchi e andò via.
Osservò la sua camminata mentre si allontanava.
Camminava come un pinguino caracollando ora a destra ora a sinistra; i piedi aperti alle 11 e 10 come diceva sua nonna.
Bevve in fretta e tornò alla sua scrivania non era il caso di cercarsi rogne vista l’aria che tirava.
La giornata trascorse lenta e faticosa cercò di evitare il più possibile la Pittima e le sue crisi d’isteria.
Per sua fortuna nessuna telefonata arrivò per lei così non era costretta a lasciarle messaggi. Odiava indistintamente tutti coloro che la contattavano telefonicamente. I motivi per i quali veniva “disturbata” erano sempre delle “idiozie” o “sciocchezze” come amava dire.
A pensarci bene nessuno l’avevo mai sentita proferire una “mala parola” anzi quando a Donatella scappò un improperio verso la fotocopiatrice la riprese invitandola ad “utilizzare un linguaggio più appropriato”.
Man mano che i giorni passavano, si accorgeva di quanto quel posto fosse strano.
Inoltre cominciava a notare alcune cose che prima le erano sfuggite.
Il silenzio per esempio.
In ufficio regnava un silenzio surreale. Sfuriate a parte.

Quell’orribile giornata era finalmente finita, voleva solo fare un bagno caldo e vedere un film dei fratelli Marx.
Stef non era d’accordo.
Entrando in casa squillò il telefono.
«Sta sera karaoke! »
Non era un nuovo messaggio in codice.
Da un po’ di tempo si era appassionata alla cultura giapponese. Forse per via del suo compagno di corso. Un affascinante ragazzo della città di Magarikane.
Cercò di dissuaderla ma la convinse molto facilmente dicendomi che Hidetoshi  Hikebana sarebbe andato con loro.
Finalmente avrebbe conosciuto il fantomatico amico di cui le parlava così spesso da un po’ di tempo. Non mi sarebbe fatta scappare l’occasione. Ma il sushi no!
Amava la cucina cinese e quella indiana ma il pesce crudo le faceva senso.
Lo mangiava cotto una volta l’anno… crudo poi!
Forse era prevenuta, ma dopo la mattinata trascorsa non voleva mangiare cose strane.
Riuscì a strappare la promessa di mangiare cibo italiano.
Arrivarono così ad un compromesso.
Un ristorante giapponese con sala karaoke  aveva in menù anche la pizza. Accettò.


Appena lo vide si inchinò e disse: «Moshi moshi! » che doveva significare ciao o qualcosa del genere.
Entusiasta della sua battuta d’entrata cominciò a parlare giapponese con entusiasmo. Ma lei non capì nulla.
Aggiunse frettolosamente che sapeva dire solo “buon giorno” e “buona sera” in giapponese.
Lui sorrise educatamente un po’ deluso.
Le sembrava un ragazzo simpatico. Meglio dell’ultimo imbecille di cui Stef si era innamorata e per cui dovette poi rintanarsi a casa sua per qualche giorno.
Passò tutta la serata cercando di non essere trascinata a cantare e ci riuscì mentre Stef e il suo nuovo amico si lanciarono in un duetto. Erano davvero stonati. Cercava di nascondere le lacrime che scendevano per il troppo ridere.
Ad una certa ora si separò da loro. Doveva alzarsi presto l’indomani.
Rimanere ancora in ufficio fino alle sette come quella sera non la ispirava proprio.
Rientrò in casa stanca morta ma quel diversivo le aveva fatto dimenticare la giornata.
Era molto più tranquilla e si infilò sfinita a letto.
                                   
**********
Al mattino si alzò fresca e riposata, pronta a combattere una nuova battaglia.
Entrò in ufficio e la prima cosa che udii furono le urla della Spugna rivolte a Francesca che leggeva candidamente il giornale.
Allora era veramente deficiente!
Non aveva voglia di essere invischiata in certe cose, non quella mattina.
Si rintanò dietro la sua scrivania e sperò che le lasciassero fare il suo lavoro senza troppe interruzioni.
Non le importava delle urla. Non le importava né le dispiaceva per lei .
Mettersi a leggere il giornale! Cosa voleva cappuccino e brioche?
Si ricordò che non aveva fatto ancora colazione. Preparò il lavoro ed andò alla macchinetta del caffè anche per non assistere a quella patetica scenata.
Rientrando una scena attirò la sua attenzione. Sapeva che la Scoglia non c’era, eppure la Pittima e la Spugna armeggiavano con il suo computer.
Cosa facevano? Spionaggio industriale.
Questa parola le attraversò la mente come un fulmine.
Forse aveva visto troppi film di spionaggio e letto troppi thriller.

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