Bello come il sole anche se la giornata metereologica non promette un granchè.
Ma si sta bene lo stesso magari sotto le coperte a ronfottare come tanti piccoli orsetti in letargo!!
Spero che i vostri progetti contemplino tanto divertimento o perchè no anche del meritato riposo!
Intanto vi lascio con il mio miciolottino sbadiglioso (anche se non sembra uno sbadiglio) e con il 5° capitolo.
Buona lettura e buon week end!!
CAPITOLO 5
Il primo giorno era passato. E ringraziò il cielo. L’accoglienza non
era stata delle migliori. All’ora di pranzo andò nel suo locale preferito ed
ordinò un panino. Lì incontrò la Signora Malaussène ovvero Francesca.
Si avvicinò, si presentò e le chiese come stesse.
Non fu di molte parole così cercò un tavolino in fondo alla sala dal
quale poteva osservare tutto il locale.
Tornò a casa stanchissima e per togliersi di dosso quella giornata
decise di preparare un bagno rilassante.
Riempì la vasca, abbondò con i sali e fece partire un cd di musica
jazz.
Lavò via la giornata.
Quella era una serata ideale per il “bianco e nero”.
Si rannicchiò sulla poltrona guardando un vecchio film avvolta nella
sua coperta preferita, per quella sera scelse “La fiamma del peccato”.
La giornata era stata umida e fredda. Sembrava proprio che la primavera
non avesse nessuna intenzione di arrivare.
Forse per quello, o per altro chissà, erano diversi giorni oramai che
non riusciva a riposare serenamente e si sentiva molto nervosa.
La mattina la sorprese ancora sulla poltrona.
Ignorando una strana morsa allo stomaco accese lo stereo e si preparò un
cappuccino.
Non cominciava mai una giornata senza il suo cappuccino.
*****
Donatella fu la prima persona che vide entrando in ufficio.
Era ferma davanti alla macchinetta del caffè. Il viso di chi era ancora
nel proprio letto sotto le coperte.
La salutò e passò oltre.
Entrando nella stanza salutò con voce chiara e nitida.
«Buongiorno!»
Nessuna risposta. Sapeva che c’era qualcuno. Due o tre teste chine
sulle tastiere si intravedevano dietro i monitor.
“Che accoglienza gelida” pensò.
Non che me gliene importasse poi tanto.
La mattinata trascorse tranquilla fino al momento fatidico.
« Francesca!! Lei e il buon senso provenite da due pianeti diversi !!»
Ricominciò la scena a cui già aveva assistito il giorno prima.
Le urla non furono meno feroci quando improvvisamente cessarono.
Cos’aveva fatto ? L’aveva ammazzata?
Francesca ricomparve poco dopo. Come il giorno prima e chissà quante
altre volte nella sua vita non disse nulla. Cominciò a notare però che sbatteva
tutto ciò che le capitava a tiro. Pratiche, fogli di carta, cartellette, il
telefono. Continuò ad osservarla incuriosita stando bene attenta a non farsi
notare nel caso avesse voluto sfogarsi su qualcuno.
Si accorse che continuava a rimuginare su quanto accaduto ogni singolo
momento della giornata, parlando alle volte da sola.
All’ora di pranzo uscirono insieme e così l’avvicinò.
Le chiese come stesse e di rimando iniziò a parlare senza sosta.
Capì presto che tipo era e non era più sicura di provare tanta pena per
lei.
Scoprì che era sposata e aveva tre figli. Da quanto aveva inteso doveva
essere abituata a comandare tutti a
bacchetta in casa. Una sorta di giustapposizione rispetto al suo ruolo di
zerbino nell’ufficio.
Parlò per tutto il tempo tanto che quasi non riuscì a finire il suo
pranzo.
Faceva poche domande e pontificava su tutto.
Tornate a lavoro si sentì la testa pesante, piena delle sue chiacchiere.
Cercò di evitarla per il resto della giornata e bene o male ci riuscì.
Uscita dall’ufficio aveva solo in mente la serata che la aspettava.
Lei, Stef ed altri due suoi compagni di corso sarebbero andati a vedere
una rappresentazione del Cirano de Bergerac in un teatrino del centro.
Era la sua pièce preferita e non vedeva l’ora di essere lì.
Arrivarono con una ventina di minuti di anticipo; avevano tutto il
tempo di ritirare i biglietti, prenotati giorni prima ed accomodarsi in platea.
La coda non fu molto lunga ma la signora dietro il bancone li informò che
quella sera c’era il tutto esaurito. Avevano fatto bene a prenotare.
Lo spettacolo fu veramente
bello. Cirano era un giovanotto molto carino con un vistoso naso legato
sul viso da un laccio che non si vedeva ma di certo si intuiva. Forse era un
po’ troppo giovane per la parte ma comunque si comportò bene.
Finito lo spettacolo, non si erano azzardati a spostare l’auto per
paura di non trovare un altro posto e così fecero due passi a piedi.
Il cielo era terso e si riuscivano a scorgere numerose stelle
nonostante le luci della città.
Riuscirono a sedersi a tavola che era già mezzanotte passata, morti di
fame.
Arrivò a casa alle tre passate.
Aveva passato una bella serata in buona compagnia, temeva però che
l’indomani avrebbe avuto qualche problemino ad alzarsi.
Non riuscì a pensare a molto altro perché si addormentò subito.
Entusiasta per la bella serata entrò in ufficio e con un misto di
allegria e grinta disse il più sfolgorante “Buongiorno” che mai probabilmente
quelle mura avessero sentito.
Solo dopo si accorse che c’era una faccia nuova nella stanza.
Con un grande sorriso le disse: «Bonjour !».
Doveva essere francese o forse belga. Alto, capelli molto mossi e
castani, due grandi occhi blu dietro un paio di occhialini da intellettuale. Salutò
nuovamente con minore convinzione e si
rintanò dietro la scrivania.
Durante la giornata lo incontrò diverse volte. In ogni caso parlava ora
con questo ora con quello.
La intrigava. “Potrei mettermi a parlare con lui per perfezionare il
mio francese”. Mentendo spudoratamente a sé stessa. Le parve comunque che in
ogni occasione i loro sguardi si incrociassero e che lui le sorridesse. O forse
si sbagliava. Forse sorrideva a qualche battuta idiota del suo interlocutore.
Continuò a lavorare cercando di non pensarci.
«Au revoir !» .
Alzò lo sguardo dalle carte e lo vide lì impalato davanti alla sua
scrivania con la mano ben tesa.
Avrebbe voluto impressionarlo con il suo ottimo francese risultato di
anni di studio indefesso.
Quello che le uscì, invece, fu un suono sgraziato; un insieme di
consonanti e vocali senza senso.
«R.v ua.»
Mio Dio che figura da imbecille! Avrebbe voluto sotterrarsi ! Anche
nascondersi sotto la scrivania sarebbe bastato. Invece mantenne il contegno
finché lui non voltò le spalle e andò via.
Decise di andarsi a rintanare in bagno, si sentiva le guance in fiamme.
Attraversò quasi di corsa il corridoio, quando passò davanti alla
macchinetta del caffè si accorse che il francese o il belga insomma il
francofono era lì intento a scegliere cosa prendere. Era il momento di
recuperare all’istante di idiozia di poco prima.
Si avvicinò di soppiatto per non essere notata e gli chiese se volesse
aiuto.
«Avez-vous besoin de
quelque chose?»
Lui volto lentamente la testa come colto in fallo.
« Grassie ,volevo qualcosa che non era molto
schifo»
« Allora ha sbagliato posto, da questa
macchinetta esce solo schifo! »
per riprendere la sua espressione « se vuole qualcosa che non le faccia venire il
mal di pancia dovrebbe andare al bar »
Mal di pancia? Aveva detto davvero così? E già!
« Mi sta invitando a sortir? »
Sorrise per il “sortir”
« Ho detto qualcosa di buffo? » disse preoccupato
«No ! » si affrettò a rispondere temendo che
potesse essersi offeso.
«No, non mi sta invitando a sortir o no non ho
detto nulla di buffo? » non
sapeva cosa rispondere allora disse: «Entrambe
le cose? »
«Entrambe? » le rispose non capendo o facendo finta di non
capire .
«Forse lei mi sta invitando a prendere un caffè,
forse? »
Sorprese se stessa con quella uscita, valutò velocemente se poteva rischiare
il licenziamento per una cosa del genere. Nel frattempo lui rispose di sì.
Non sapeva come ma aveva un appuntamento con quel tizio.
Alle cinque, nel cortile. Sarebbe venuta a prenderla con un taxi.
Proseguì per il bagno dopo la strana sosta.
Si stava ancora chiedendo come avesse avuto la sfacciataggine di
chiedergli di uscire.
Non era da lei!
Cominciò a pensare cosa avrebbe indossato.
In quell’attimo realizzò che non avrebbe indossato un bel niente!
Sarebbe venuto a prenderla subito dopo il lavoro non aveva il tempo di tornare
a casa per cambiarsi.
Telefonò a Stef di corsa.
« Mi devi fare un favore! » esordì
Stef avrebbe fatto una corsa a casa sua ed avrebbe preso dei vestiti
per lei. Alla fine fare una copia della chiave in caso di emergenza non era
stata una cattiva idea. Dopo tutto quella era un’emergenza.
Ore tredici.
Stef si presentò puntuale con la mia sacca da palestra.
Offrirle il pranzo era il minimo che potesse fare.
Aspettando la cameriera le raccontò dell’incontro, della figuraccia e
dell’appuntamento.
Cominciò a farle mille domande e solo allora si accorse di non sapere
assolutamente nulla di quel tizio, neanche come si chiamasse.
Poteva essere un trafficante di droga per quanto ne sapeva.
Le tornò in mente il volto di quel latitante arrestato qualche anno
addietro.
Aveva una faccia da bravo ragazzo e quando riuscirono ad arrestarlo,
sorrise candido alla telecamera e salutò la mamma.
No, non poteva essere un latitante o un delinquente.
Tra un boccone e l’altro cominciò ad esprimere le sue perplessità.
«Ma non dire cretinate!» e poi continuò in maniera davvero poco
rassicurante «comunque andate con due auto diverse vero ? »
Fecero diversi ipotesi, tutte molto fantasiose, su chi potesse essere
quel tipo, ma il dubbio rimase.
Il pomeriggio passò lento forse perché lei continuava a fissare il
grande orologio posto sopra la porta d’uscita.
Alle 17.00 si infilò in bagno e si cambiò. Uscita dai tornelli lo vide
lì ad aspettarla come pattuito, appoggiato ad un auto bianca.
Prese la sua auto ed ogni tanto guardava nello specchietto retrovisore
per controllare che lui ci fosse.
Non l’aveva notato prima ma assomigliava ad un investigatore dei film in
bianco e nero anni ’40 che tanto le piacevano.
Aveva un soprabito color ghiaccio ed un cappello nero a larghe tese.
Un investigatore o un gangster?
Sorrise e non ci pensò più.
Lo portò in un locale davvero
grazioso, ma il più lontano possibile da casa sua.
In barba alle preoccupazioni passò una deliziosa serata, in compagnia
di un perfetto sconosciuto.
Che male c’era?
Parlarono in un misto di francese ed italiano. Decise che il suo
francese non era buono come credeva, però avevano tante cose in comune.
La passione per il cinema, i libri, e l’arte. Pensai alla serata
passata con Giulio.
Dietro gli occhialini non cercava affatto di camuffare la sua
inettitudine, anzi era un piacevole oratore e non sputava quando parlava.
Ogni tanto sbirciava l’orologio sperando che non fosse troppo tardi, avrebbe
voluto che quella serata continuasse ad oltranza.
Rientrò che erano passate da poco le due.
Chiamò Stef, subito dopo essersi sistemata per la notte.
Se non l’avesse fatto l’indomani se la sarebbe ritrovata sotto il
portone con una mazza in mano. le aveva fatto promettere che a qualunque ora
della notte fosse rientrata l’avrebbe chiamata.
« Si chiama Luc, è francese, è il caporedattore della filiale parigina
della Ediwork, è intelligente, spiritoso…» cercai di creare un po’ di suspence.
«Ma cosa?»
«Chi ti dice che c’è un ma? »
« C’è sempre un ma.. è sposato? »
« No, non credo, il fatto è che domani torna a Parigi »
« E tu? »
«Io cosa? »
«Andrai a trovarlo?»
«No! Non lo so» si corressi « in realtà mi ha chiesto di andarlo a
salutare domani, ma non so!»
Parlarono ancora un po’ infine il sonno cominciò a farsi sentire e si
salutarono.
Avevano elaborato però una strategia per l’indomani.
Di buon ora avrebbe chiamato in ufficio dicendo che avrebbe tardato un
po’ per un contrattempo.
Non era brava a mentire perciò durante la nottata ripassò mille volte
il discorso rivoltandolo come un calzino. Alla fine si addormentò.
«Dottoressa Pittima? Sono Giulia, questa mattina arriverò un po’ tardi
ho avuto un contrattempo» attese impaziente la risposta; dall’altra parte solo
silenzio.
Sperò che non le chiedesse ulteriori informazioni altrimenti non
avrebbe saputo cosa rispondere. La macchina non parte? Forse avrebbe detto
così.
Ma non lo chiese si limito ad un
tranquillo « va bene » e riattaccò.
*********
Era seduto al tavolo vicino alla vetrata che dava sul viale. Si avvicinò
e sorrise.
Notò che era davvero bello e curato nonostante fosse molto presto e
fosse fuori casa.
« Ciao, come hai fatto con il lavoro? » le chiese curioso
« Entrerò più tardi »
« Hai mentito? » sottintendendo che sicuramente l’avesse fatto.
« No, sei un “contrattempo” »
« E’ questo che pensi? »
« No! » rispose convinta cambiando discorso.
« A che ora parte il tuo volo? »
« Ho giusto il tempo di fare colazione »
Ordinai il mio solito cappuccino e lui mi imitò.
Parlarono ancora un po’ ed infine si scambiarono i numeri di telefono.
La invitò a passare da lui se un giorno per caso fosse passata da
Parigi.
Come fosse possibile ritrovarsi per caso a Parigi non riusciva ad
immaginarlo.
Si congedarono in fretta ed in maniera fin troppo formale.
Arrivò in ufficio con la faccia lunga e decisamente delusa.
Si nascose dietro il monitor mentre sentì Donatella che le chiedeva se
si sentisse bene.
«Sì, certo!» con un grande sorriso mentì spudoratamente.
Era stupido prendersela così per uno conosciuto il giorno prima. Ma si
sentiva triste.
Fissò il telefonino per tutta la giornata, come se avesse la capacità
di farlo suonare.
Le sembrò di essere stata catapultata in uno di quei film rosa di
terz’ordine nel quale la protagonista smette di vivere la sua vita in attesa di
una telefonata che non arriva mai.
Quando oramai iniziava a drammatizzare la situazione, il telefonò
squillò.
Il cuore era in gola. Non rispose subito per non dare l’impressione di
attendere quella telefonata più di quanto non fosse lecito.
Era lui.
Rispose uscendo dalla stanza.
L’avvisò che era arrivato ed accennò al fatto che quel viaggio a Milano
era stato davvero interessante.
Sembrò quasi che quel saluto così frettoloso di quella mattina avesse
lasciato un po’ di amaro in bocca anche a lui.
O almeno così le parve.
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